Semidei quasi umani

di: Loredano Cafaro

Di fronte a lui, stava il Morlock.

Il corpo e le zampe massicci e pesanti, le squame rossastre, la lunga coda dal pungiglione letale. L’unico occhio presente sul capo oblungo pareva emanare una malvagità priva di rancore; avrebbe ucciso chiunque gli si fosse parato davanti, ma non avrebbe provato piacere nel farlo: semplicemente, era la sua natura.

Il Morlock si stava dirigendo pericolosamente verso il vicino villaggio di Arnheim, dove avrebbe placato la propria fame a discapito di vecchi, donne e bambini; le uniche persone rimaste al villaggio a causa delle inutili guerre d’orgoglio tra potenti signori, che costringevano gli uomini lontano da casa. E lui, Valdemar, semidio dalla forza di un toro e dal coraggio di un leone, figlio del potente dio del vento Usher e della donna mortale Ligeia, era l’unico che avrebbe potuto fermarlo. Ma non sarebbe stata un’impresa facile.

Il prode Valdemar, nel corso della propria vita, aveva conosciuto mille battaglie e altrettante vittorie: aveva sconfitto il terribile Kempelen delle caverne, aveva ridotto in catene Pfaall l’assassino, aveva guidato eserciti ed espugnato roccaforti. Ma era stato in altri tempi. Allora era un giovane il cui unico desiderio era quello di riparare ai torti e vendicare i soprusi, sempre pronto a passare da un campo di battaglia a un altro senza porre riposo nel mezzo. Adesso molte cose erano cambiate.

Valdemar aveva incontrato Berenice, la donna che aveva scoperto di amare e al cui fianco aveva deciso di trascorrere la propria vita; si era sposato, era diventato padre di una coppia di gemelli, aveva messo su casa e famiglia. Era diverso affrontare una battaglia, adesso. Una sua eventuale sconfitta non avrebbe coinvolto soltanto lui o gli innocenti che cercava di difendere e che, in ogni caso, non avrebbero avuto nulla da perdere. Se lui non fosse sopravvissuto allo scontro, Berenice sarebbe diventata vedova e i suoi figli orfani; avrebbe lasciato una donna senza marito e dei bambini senza padre: il mondo, là fuori, non sarebbe certo stato tenero con loro. E non sarebbero mancati loro soltanto l’amore e l’affetto, bensì anche il sostentamento. Valdemar era l’unico a lavorare in famiglia e il suo compenso bastava appena per tirare avanti la baracca. Nessuno ti regala niente. Ce l’avrebbe fatta Berenice a far fronte a tutte le incombenze, anche ammesso che fosse riuscita, lasciando i figli in custodia ai propri genitori, a trovarsi un lavoro?

Valdemar avrebbe voluto gettare a terra la spada e lo scudo, tornare sui propri passi e precipitarsi a casa per abbracciare la moglie e i figli e non abbandonarli mai più. Eppure, nonostante fosse questa la cosa che più desiderava al mondo, non poteva farlo. Lui era Valdemar, semidio dalla forza di un toro e dal coraggio di un leone, figlio del potente dio del vento Usher e della donna mortale Ligeia. Ed era l’unica speranza che fosse rimasta agli abitanti del villaggio di Arnheim.

L’unica.

Alle sue spalle, sempre più lontano, stava il Morlock.

Tratto dalla raccolta Della Realtà e Del Sogno

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