La luna

di: Loredano Cafaro

E la luna svanì. Una timida scia color dell’oro, un tonfo sordo e l’Occhio della Notte, all’improvviso, si serrò.

Bosco di Pratonero. Decine di coppie di innamorati, il cuore in tumulto, corsero a perdifiato verso il luogo della caduta, seguite a ruota da un paio di guardoni sconvolti che avevano visto infrangersi in un solo istante tutte le proprie speranze per l’avvenire. Avanzavano lentamente, poco più indietro, alcuni pescatori notturni di anguille, le torce spente in segno di lutto. Nessuno osava emettere il benché minimo suono, la tragedia era tale che non esistevano parole atte a esprimerla. Un avvallamento nel terreno, una trasparente nube di polvere ancora a mezz’aria, una pallida luminescenza che diveniva via via più fioca: la luna stava morendo.

Addio, paziente sentinella di teneri sospiri tra cuori innamorati.

Addio, focosa musa di irruenti serenate per una donna che non si avrà mai.

Addio, addio, Sorella nella Notte, infaticabile compagna di cavalieri solitari e anime dannate.

Addio…

I piccoli uomini sperduti si disposero in circolo attorno a lei, lacrime sconsolate rigavano i loro volti e disperazione era la nuova parola d’ordine. Gli innamorati si tenevano per mano, si abbracciavano stretti stretti come per la perdita di parte del loro amore. I pescatori soffrivano in silenzio. I guardoni guardavano.

Avanzò un bambino, l’angoscia negli occhi; una minuscola fionda in una mano. Si chinò sulla luna e la accarezzò, un istante prima che lei svanisse nel buio per sempre.

«Volevo soltanto farle uno scherzo…» mormorò.

Tratto dalla raccolta Della Realtà e Del Sogno

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