Prete Olivo

Prete Olivo: la leggenda del Santo Stregone

di: Luca Ricatti

La porta si aprì con uno schianto, mentre Prete Olivo stava davanti ai suoi adepti. Tutti si voltarono a guardare, ma solo lui vide il cadavere in piedi sulla soglia.

Una delle beghine si alzò per andare a richiudere il portoncino della canonica. La pioggia era così forte che entrava a secchiate. Prete Olivo vide la donna passare accanto alla salma senza guardarla. Lei richiuse il temporale fuori della porta di legno e tornò a sedersi tra gli altri.

I seguaci erano in attesa, ma Prete Olivo continuava a guardare il cadavere in piedi davanti all’entrata. Era quella la fine?

La sua storia era iniziata in una sera di metà autunno, tanti anni prima.

Tredici fantasmi

A quel tempo era un giovane prete con una piccola chiesa in mezzo alla campagna. Ed era solo.
Era una sera di fine ottobre e la nebbia copriva ogni cosa. Solo il verso delle cornacchie rompeva il silenzio.
Qualcuno aveva bussato. Chi poteva girare con quel tempo infausto, se non spettri e assassini?

Prete Olivo s’era affacciato tenendo in mano l’unica lanterna che aveva.
C’era un gruppo di uomini, spuntati da chissà dove.
Erano male in arnese, stanchi, affamati.
Erano tredici.

Prete Olivo li fece entrare, diede loro da mangiare e portò delle coperte. Li fece dormire dentro la Chiesa, l’unica stanza abbastanza grande per contenerli tutti.

La mattina successiva diede loro del pane per il viaggio.
Uno di quelli, che gli altri chiamavano Maestro, si avvicinò, lo baciò sulla fronte e gli disse:
«Sei coraggioso e generoso. Per questo sarai ricompensato».
Aveva una ferita nel costato e due grossi buchi nelle mani.
Si voltò e sparì insieme ai suoi discepoli nelle nebbia.

Prete Olivo non seppe mai se era stato solo un sogno.

Lo Grande Sonno

Prete Olivo non era più giovane.
I suoi seguaci lo guardavano, in attesa di una parola.

Le ombre ballavano sui muri spogli, alla luce delle candele sparse. Gli spifferi d’aria scuotevano le fiammelle.
Il cadavere aveva attraversato la stanza trascinando i passi. Si avvicinò. Indossava una lunga tunica scura, con un cappuccio. Passò in mezzo alle persone sedute a terra, senza che nessuno lo notasse. E andò a mettersi accanto al Prete.

«Cari frati e sorelle, è giunta per me l’ora de lo grande riposo», disse Prete Olivo facendo finta di non vedere il morto che lo fissava, dritto accanto a lui.
C’erano una quindicina di persone ad ascoltarlo. Ladri, donne di malaffare, un disertore alcolizzato, due assassini, uno storpio bestemmiatore. Tutti convertiti a una nuova vita dalle prediche dello strano prete, mezzo frate, mezzo stregone.
Alle sue parole erano tutti trasaliti:
«Frate Olivo, nun stai bene? Quale Grande Riposo? Tieni quarche male?», chiedevano.
«No», rispose il vecchio. «Tengo sonno. È giunto lo momento che me faccio ‘n grande sonno. E puro voi. Ite a dormire, che domani ciattèndeno la vanga e la zappa.»

Signora Morte, l’ultima preghiera

Prete Olivo attese che tutti i suoi fedeli fossero usciti. Poi si voltò verso il cadavere che stava in piedi in mezzo alla stanza e lo fissava. Si accarezzò la lunga barba grigia che scendeva sulla tonaca sporca e rattoppata e gli parlò:
«È dunque giunta la mia ora, Triste Mietitrice?».
La Morte si mise il dito indice davanti alla bocca putrefatta, in segno di silenzio, e poggiò l’altra mano sul cuore di Prete Olivo.
Una fitta rapidissima gli passò dentro, piegandogli le ginocchia.
«Quanta fretta de trapassamme!» riuscì a balbettare, ansimando in preda all’infarto. «Concedime qualche istante per dire le ultime preghiere!»

E la Morte ebbe pietà del vecchio prete. Scostò la mano per lasciarlo vivere ancora qualche minuto.

Quando si fu ripreso, disse alla Morte con tono gentile:
«Ti prego, Mia Signora, attendi lo disbrigo delle mie orazioni riposando la tua carcassa puzzolente su sta umile panca de pietra». Mostrò alla Morte il sedile interno dell’ampio camino. Poi chiamò il suo giovane chierichetto urlando:
«Giovannino! Giovannino! Scenni giù!»

Mentre Giovannino scendeva le scalette di legno della Canonica, Prete Olivo insistette a far accomodare la Morte sul sedile interno del camino. E quella si sedette.
«Padre mio, che te succede? Che te strilli, a st’ora de notte?», chiese preoccupato il chierichetto.
«Succede che ciò freddo, ma ciò da dì le preghiere mie, prima da coricamme. Attizza lo cammino, che devo scallare sti ossi miei. Alza sta fiamma co tutti li sterpi e le pigne secche che ciài.»
«Ma nun dicevi che dovevi fatte uno grande sonno?»
«Fatte l’affaracci tui e attizza sto foco!»

Giovannino entrò nel camino. Si inginocchiò accanto alla Morte senza vederla. E attizzò il fuoco.
E in un attimo la fiamma, nutrita da zeppi rinsecchiti e pigne, divenne altissima e divampò all’esterno, risalendo la panca di pietra.
Germanino fece un balzo all’indietro per lo spavento. Non poteva vedere il fantasma della Morte prendere fuoco, accendendosi come una foglia secca.

«Ma ch’è successo?», chiese spaventato. «Perché le fiamme escono dar cammino e bruciano la panca?»
«È l’ojo che t’è cascato ieri e che nun hai pulito come t’avevo detto da fare!», rispose Prete Olivo tirando una sberla dietro la nuca del chierichetto. «A momenti arimani abbruciato!»
«Me pento, Frate mio! Perdona sto debbosciato che sò! Me merito na punizzione!»
«Dio vede e provvede pe chi se n’avvede», rispose Prete Olivo, guardando il cadavere della Morte che bruciava come un unico grande tizzone. «Chissà che stasera nun hai fatto quarcheccosa de bono, na volta tanto».

Signora Morte, l’ultimo fico

Erano trascorsi molti anni.
Prete Olivo era ormai un vecchio piegato nella schiena. Ma si dedicava ancora ad accogliere gli straccioni e i delinquenti nella sua chiesetta diroccata. E sfamava i mendicanti e i malati con gli ortaggi che coltivava dietro la canonica.

Un pomeriggio d’autunno, il vecchio frate stava bruciando foglie secche e rami in mezzo al campo, approfittando dell’ultimo sole.
La notte già incombeva sulla metà orientale del cielo, mentre da occidente la palla arancione del sole gettava ombre lunghe e deboli.

Il falò tremò all’improvviso.
Un’aria gelida scosse la tonaca del prete e un mulinello di foglie gli si avvolse attorno ai piedi.
Un’ombra si proiettò lunga davanti a lui. Prete Olivo alzò lo sguardo:
«Bentornata sorella Morte!»

Quella aprì la tunica che copriva la sua carcassa putrefatta e ne tirò fuori una lunga lama.
«Mia Signora, prima da trapassamme, vorrei solo esprimere un ultimo desiderio… »
La morte avanzò verso di lui con la lama in pugno.
Prete Olivo non mostrava alcuno spavento. Indicò un alberello alle spalle della Mietitrice.
«Vedi questa bella pianta de fichi? Non sai quanto me piacerebbe de ire all’altro monno con lo dolce sapore de uno de quei frutti su sta mia linguaccia rinsecchita.»

La Morte non sembrava ascoltarlo. Si avvicinò e puntò il suo lungo coltello contro la gola del prete.
«Solo uno!», insisteva lui. «Lasciame usare sta lama pe cojere uno fico. E mentre che lo magno, mi trapassi!»
Avvolse le mani attorno a quella della Morte, che teneva il pugnale. Un’orribile sensazione di gelo si diffuse rapida nelle sue braccia, così intensa da farlo gemere.
«Che te costa?»

La Morte, anche stavolta, ebbe pietà di lui e allentò la presa.
Prete Olivo prese il coltello e si avvicinò all’alberello. Colse un fico.
Ma poi gettò la lama in mezzo al fuoco di foglie secche e rami che ardeva in mezzo al campo, a pochi passi da loro.

La Morte restò immobile.

«Mia Signora, me devi scusare», disse Prete Olivo, «ma sto dolce sapore de succhero m’ha ricordato de quante amarezze hanno da patire quelli disgraziati che ospito. Se trapasso, chi ce pensa?
«Ce sta una ragazzina che ha da sgravare stanotte e no soldato co na gamba in cancrena. Abbi pazienza, ciò troppe brighe, per crepare proprio oggi. Facciamo la prossima volta»

Mentre diceva questa parole, Prete Olivo s’era chinato sopra il falò e ne aveva estratto un ramo che ardeva come una fiaccola.

«Giuro, che me se possa pijare lo Diavolo! La prossima è la volta bona che mi lascio trapassare», disse lanciando la fiaccola sulla tonaca di Sorella Morte.
S’incamminò con un’andatura sghemba, lasciando per la seconda volta che la Grande Mietitrice ardesse come un tizzone.

Sor Diavolo, na mano a Tresette?

Molti anni dopo, Prete Olivo era del tutto decrepito, ingobbito, la bocca senza denti e radi capelli bianchi che spuntavano dritti e desolati sulla testa semicalva.
Si reggeva ancora in piedi e spesso lo si vedeva zappare ostinatamente l’orto. Ma non diceva più messa da tempo.

Dispensava consigli e benedizioni agli straccioni, ai banditi e alle prostitute che accoglieva nella sua parrocchia.
Ma il lavoro lo facevano ormai i suoi seguaci.

Il chierichetto Giovannino era ormai un vecchio mezzo cieco e contorto dall’artrosi. Una sera stava aiutando Prete Olivo a coricarsi.
La porta fu aperta da una folata di vento.
«Perdona, Padre mio, se vede che nun l’ho chiusa bene.»
«No, nun è colpa tua», rispose Prete Olivo. «È na vecchia amica ch’è venuta a riscuote no vecchio debito.
«Abbi pazienza, Giovannì, pìjame lo mazzo de carte e mettimelo qua nella mano», aggiunse mentre la Morte incedeva a passi lenti verso di lui.
Giovannino assecondava da tutta la vita le stranezze del Prete e non obiettò. Appena gli ebbe messo il mazzo di carte nella mano destra, vide la luce spegnersi nei suoi occhi, con un sorriso raggelato.
Si fece il segno della croce e versò delle lacrime.

Prete Olivo seguì Sorella Morte fuori dalla canonica, nel freddo della notte.
Attraversarono l’orto, fino al vecchio albero di fico. Gli girarono attorno.
«Da quanto tempo c’è questa fossa dietro sto albero?», chiese.
Ma non ebbe risposta.

Una profonda voragine si apriva nel terreno. Degli scalini entravano nel buio.
Scesero per un tempo infinito, fino a una grande sala illuminata da torce sulle pareti.
Sul lato sinistro c’era un’apertura ad arco dalla quale venivano una luce rossastra, fumo e puzza di zolfo.
Prete Olivo lasciò la Morte e vi entrò.

Camminò tra i gemiti e il puzzo di sangue e urina. Camminò tra il rumore delle viscere aperte e le imprecazioni furiose. Tra gli sguardi imploranti e i corpi martoriati. Camminò tra l’angoscia e l’orrore senza speranza.
Fino a che non fu davanti al Demonio in persona.

«Non è posto per te, questo, prete». Era la voce più profonda e terrificante che si possa immaginare.
«E quale sarebbe lo posto de no prete, se no tra i disperati?», rispose Olivo.

Occhi di fuoco bruciarono la sua pelle, artigli d’acciaio ghermirono la sua gola, suoni agghiaccianti perforarono il suo cuore.
«Vattene ora», disse il Demonio.
Prete Olivo rispose con un filo di voce:
«Me ne vado, ma prima voglio sapere se è vero quello che se dice de le carte… È lo vero che le ha inventate Satanasso?»

I suoni si fermarono, la fiamme si acquietarono.
Il Demonio rise, così forte da far tremare la terra.
«Cosa vuoi giocarti?», chiese.
«L’anima mia», rispose sorridente Prete Olivo, tirando fuori il suo mazzo di carte. «Ma se vinco me piglio l’anima de chi dico io. Se gioca a Tressette spizzichino».
Il Demonio rise ancor più forte.
E giocarono.

E Prete Olivo vinse la prima mano.
«Chi è quello disgraziato che viene smembrato da li cavalli?», chiese.
«Un assassino», rispose il Demonio.
«Me lo piglio», rispose Prete Olivo.

Giocarono ancora e Prete Olivo vinse un’altra mano.
«Chi è quella sciagurata mangiata viva da li corvi?»
«Una fedifraga e assassina del marito».
«La voglio»

E giocarono ancora. E Prete Olivo vinse ogni volta.
E si prese l’anima di rapinatori, lussuriosi, alcolizzati, bagasce, avvelenatrici e furfanti d’ogni specie.

«La tua fama di stregone è meritata», disse il Demonio.
«Vattene, prima che ci ripensi. Ma prima devi dirmi che ci devi fare con tutte queste anime lorde».
«Je do no poco de pace. Hanno già vissuto lo inferno de la miseria quanno che erano in vita. E poi un volta ho incontrato uno tale che diceva che gli ultimi hanno da essere primi».

Così rispose Prete Olivo, incamminandosi fuori.
La Morte lo attendeva per accompagnarlo. Dove, nessuno lo sa.
S’incamminarono nella lunga galleria oscura. Una processione di anime li seguiva. E mormorava.
Tutte dicevano che se esiste un paradiso, è per chi è disposto a scendere all’inferno, per stare con le anime dei più disperati.

 

Pubblicato in origine sul sito dell’autore

 

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