La Dama dei Sogni

di: Loredano Cafaro

 

«Buongiorno, signor Monti».
«Buongiorno, Cesare».
Un rapido saluto alla guardia di turno, la bollatura col tesserino magnetico e Gian Luca Monti si avviò con passo deciso lungo il corridoio che portava agli ascensori. Era in ritardo, ma non era una novità. E doveva affrettarsi, se non voleva che il bar interno chiudesse, costringendolo ad affrontare la mattinata in ufficio senza poter contare sulle energie della colazione; ma neppure questa sarebbe stata una novità. Si arrestò di fronte alle porte dell’ascensore in discesa più vicino al pianterreno, rivolgendo continue occhiate preoccupate alle lancette dell’orologio, ormai pericolosamente vicine alle 09:00, forse nella vana speranza che questo le persuadesse ad avanzare più lentamente. Assorto in complicatissimi calcoli matematici sui tempi di percorrenza, non si avvide minimamente della persona che era intanto giunta alle sue spalle e che entrò con lui nell’ascensore non appena le porte si furono aperte; bensì il suo unico pensiero fu quello di premere al più presto possibile il pulsante relativo al piano dove era situato il bar interno. Soltanto quando scorse una mano sottile e aggraziata raggiungere il pulsante relativo a un piano diverso, Gian Luca Monti si rese conto di non essere solo e si voltò.

Il lavoro poteva aspettare e avrebbe aspettato: Gian Luca Monti aveva altro cui pensare in quel momento. Pensieri dalle mani sottili e aggraziate.
Digitando caratteri a caso sulla tastiera di un terminale fermo sulla videata di login, Gian Luca Monti era perso in se stesso. Ormai non era più giovanissimo, era conscio da un pezzo del fatto che Babbo Natale non esistesse e riteneva di saperla lunga sulla vita e sull’amore. L’amore, questo folle sentimento che si dice tenga in vita il mondo e che perde ogni fascino, se analizzato razionalmente; cosa che Gian Luca Monti, da buon informatico, si era affrettato a fare. Le sue teorie si potevano riassumere in un pot-pourri di cinismo (che lui preferiva definire realismo), ironia (che lui preferiva definire humour inglese) e romanticismo (nel significato letterario del termine, che Gian Luca Monti non ridefiniva per il semplice motivo che non sapeva cosa significasse); con una punta di autolesionismo molto accentuata, probabilmente (che lui preferiva definire sindrome da ascolto perpetuo della nostra canzone dopo che ci siamo lasciati). Eppure, in barba alle sue teorie e alle sue certezze (che nella innata presunzione di Gian Luca Monti coincidevano), la sua Dama dei Sogni sembrava esistere davvero, esattamente come l’aveva sognata e desiderata parecchi anni prima. Per cui al cinismo era subentrata la speranza; e alla speranza la paura. La paura di parlarle, di conoscerla, di scoprire che non fosse come doveva essere oppure che, molto più banalmente, la cosa non funzionasse. O forse, in fondo, la paura di essere costretto ad amare una persona reale e non una solitaria utopia. La paura di essere felice.

Pausa pranzo. Gian Luca Monti prese posto all’interno dell’ascensore e premette il tasto relativo al pianterreno. A un piano intermedio, le porte si aprirono e Lei entrò. Un timido sguardo, un sorriso che si bloccò a metà strada tra il cervello (il cuore?) e le labbra. Poi, inaspettati, lo sguardo e il sorriso di Lei. E il panico. E quelle sensazioni dimenticate da tempo, chissà se mai provate realmente oppure soltanto immaginate. Un nuovo sguardo, un sorriso che stavolta riuscì a farsi strada tra le paure. E di nuovo lo sguardo e il sorriso di Lei. E quella magia per cui un ascensore con dodici persone diventa vuoto all’improvviso, non fosse che per te e Lei. E per la luce che la avvolge, talmente intensa da aprirsi un varco nell’oscurità che è in te.

Piano terra.
Le porte che si aprono, gli occupanti che avanzano lungo il corridoio e, varcata la soglia del portone d’ingresso, si disperdono ognuno per la propria strada.
E la magia che diventa realtà e l’ascensore è davvero vuoto, tranne che per te e Lei.
L’attesa, l’imbarazzo, Lei che abbassa gli occhi in un sorriso triste ed esce dall’ascensore.
Gian Luca Monti superò il corridoio, il portone d’ingresso. Rimase immobile per un istante a guardarla allontanarsi nel pallido sole autunnale, poi le rivolse un addio silenzioso e si avviò lentamente lungo il marciapiede nella consueta direzione quotidiana.
Semplicemente, non sarebbe mai potuto essere più bello di così.

 

Tratto dalla raccolta Della Realtà e Del Sogno

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