Una promessa è un debito

di: Luca Ricatti

jimi hendix - immagine primo piano

Quasi come Easy rider. Diciamo la versione urban-proletaria. È la fine degli anni ’90. Io e mio cugino (talentuoso chitarrista) solchiamo le vie di Roma nella notte, a cavallo dei nostri Sì Piaggio. Le chitarre dietro la schiena e i capelli al vento (il casco non è ancora obbligatorio). Pure io, sono ancora dotato di chioma ed è così prospera che lunghi boccoli neri svolazzano spudorati alle mie spalle.
Formiamo un duo di rock acustico. Motivo dichiarato: fare serate nei pub. E un po’ di grana.

Leghiamo i motorini a un palo davanti a un locale di San Lorenzo. Uno dei due titolari, quello che si occupa di organizzare i concerti, si mostra subito disponibile, cosa che non capita quasi mai. È un tipo stravagante ma simpatico. Riccioli incolti lungo la schiena e giubbotto da motociclista. Ascolta la nostra demo, gli piace. Dice che va bene e ci fissa una data. Ma a una condizione: per suonare da lui bisogna fare almeno una cover di Hendrix, altrimenti niente.
«Ma certo» assicuriamo noi. «Che problema c’è?»
Invece il problema c’è.

Abbiamo un repertorio di circa 20 pezzi, quasi tutti arrangiati per due chitarre e due voci. Una specie di versione grunge di Simon & Gurfunkel. Insomma, non è roba facilissima e siamo due perfezionisti. O meglio, mio cugino è un perfezionista, io sono un rompicoglioni. Comunque ci piace fare le cose fatte bene e proviamo e riproviamo ogni singolo pezzo dozzine di volte.
Così succede che ci troviamo con l’acqua alla gola e il tempo per scegliere un brano di Hendrix, arrangiarlo, provarlo e perfezionarlo non c’è.
Alla fine decidiamo di fare una Hey Joe supersputtanata, basta che ci grattiamo via sta rogna. Gli accordi si buttano lì, io la canterò così come viene.
Ma mi sta sul gozzo. Anche perché ho suonato Hey Joe talmente tante di quelle volte che mi è venuta a nausea.

Arriva il giorno del nostro primo concerto. Siamo nel pub. È pieno di gente. Stiamo suonando e andiamo alla grande. Il miglior concerto inaugurale che si possa immaginare. Stiamo veramente spaccando, si divertono tutti.
Chiunque abbia mai provato a suonare nei locali sa bene quanto è difficile trovare un posto con un pubblico vero e numeroso, che ascolta e si diverte. E con un padrone che paga.
Ci siamo già sparati qualche birra. In fondo alla sala c’è una tavolata di amici completamente ubriachi. Pure noi siamo alticci, suoniamo senza risparmiarci, io lascio le tonsille sul microfono. I ragazzi seduti al tavolo sotto il palco non lesinano applausi: quando facciamo Elderly woman behind the counter in a small town dei Pearl Jam, una di loro ci chiede di suonarla ancora. Cioè vuole il bis.
Il bis! Nessuno mi aveva mai chiesto il bis!
È il concerto più fico che potessimo aspettarci. È veramente il posto ideale dove suonare.

Arriviamo alla fine della scaletta. Mio cugino fa:
«Ok, chiudiamo con Hey Joe
Ma io ormai sono montatissimo. O forse ho bevuto una birra di troppo.
«Ma vaffanculo Hey Joe, rifacciamo Elderly Woman
Mi guarda esterrefatto:
«Dobbiamo fare Hendrix, l’abbiamo promesso!»
«Ma chissenefrega di Hendrix, ci viene da schifo! Dai attacca con Elderly, che sti ragazzi qua ce l’hanno chiesta.»
Ancora applausi, risate e fiumi di birra.

Finita la serata. Il locale ormai è vuoto. È ora di riscuotere. E l’organizzatore ci passa accanto senza guardarci: non dice niente. All’improvviso ci rendiamo conto che abbiamo fatto il guaio. Ma che se l’è presa? Porca puttana, s’è incazzato davvero.
Si avvicina il suo collega e ci fa cenno di seguirlo alla cassa. Tira fuori i soldi e ci dice che siamo andati bene. A lui non gliene frega niente di Hendrix. Ma il suo amico, lui ci dà le spalle: lo salutiamo, non ci risponde.
Ho ancora impressa nella mente l’immagine della sua schiena, coi riccioloni che gli cascano sul giobbotto da motociclista. Ci passa accanto senza guardarci, non si volta, non ci parla.
Non abbiamo mai avuto il coraggio di tornare a chiedere di suonare lì.

 

Pubblicato in origine sul sito dell’autore

Lascia un commento