Ballo per Matteo Toffanin

di: Luca Ricatti

Quella che stai per leggere è la storia di Matteo Toffanin.
In questa storia ci sono due macchine identiche e due uomini completamente diversi..

Matteo

C’è una macchina parcheggiata, una Mercedes 190 E bianca. Dentro c’è un ragazzo, si chiama Matteo. È a bordo di una bella macchina, ma non è sua.

Matteo ha riaccompagnato a casa la sua fidanzata, a Padova. Hanno passato la giornata al mare a Jesolo. È il momento di salutarsi, ma sta per accadere qualcosa.

Matteo lavora tutta la settimana in un’altra città, alla Digicom di Cardano del Campo. Col suo diploma da perito elettronico ha trovato un impiego da funzionario. Non male, a ventitré anni.
Sta cercando di costruirsi un futuro solido, lavorando. Ma è costretto a passare cinque giorni a settimana a Varese.
Ora sta per ripartire.

Matteo possiede una Lancia Delta, che però è dal meccanico. Per questo ora si trova a bordo della Mercedes Bianca che gli ha prestato lo zio.
Se la Lancia Delta non si fosse rotta, la vita di Matteo sarebbe stata molto diversa.

Intanto, in un altro luogo
C’è un’altra macchina parcheggiata, un’altra Mercedes 190 E bianca. Dentro c’è un uomo, si chiama Marino. È a bordo di una bella macchina ed è sua.

Non è uno stinco di santo, lo dice lui stesso.
Gli piace vivere bene, spendere soldi.
Per finanziare il suo stile di vita, fa la malavita.
Ma sta giocando col fuoco.

Ha comprato una partita di droga da quelli di Milano, per distribuirla a Padova. Eroina e coca.
Solo che poi non ha pagato.

Sono successe delle cose, per questo.
I milanesi sono andati a prenderlo, lo hanno portato a Milano e gli hanno fatto credere che lo avrebbero fucilato, per mettergli paura.
Ma lui non ha tirato fuori i soldi.
Allora i milanesi hanno sparato una raffica di colpi contro la vetrina del suo negozio, una pelletteria.
Ma lui continua a non pagare.

Forse non ha pagato perché si è speso tutto, forse sta solo prendendo tempo. O forse pensa che i milanesi non siano poi così spaventosi.
Solo che i milanesi hanno amici più spaventosi di loro, gente che non perde tempo in avvertimenti inutili.

Lui però non pensa a queste cose, mentre accende il motore della sua Mercedes bianca. Non pensa a queste cose nemmeno quando arriva sotto casa e parcheggia a Via Tassoni.
Non ci pensa, ma dovrebbe sapere che

Chi non paga muore

Una macchina parcheggiata, una Fiat Tipo grigia. Dentro ci sono tre uomini e nessuno sa come si chiamano.
Sono in Via Tassoni.
I tre uomini senza nome vengono da lontano, sono venuti fino a Padova per colpa di Marino. Forse hanno l’accento siciliano.
Sanno che devono ammazzare uno che ha fatto il furbo e sanno dove abita, conoscono il modello della macchina, il colore e il numero di targa. La vedono, la macchina: è lì davanti a loro.

In realtà non sono sicuri del numero di targa, coincidono solo le prime tre cifre. Ma il modello, il colore, e l’indirizzo corrispondono.

Uno di loro ha un fucile a canne mozze, un altro ha una pistola. Si lasceranno dietro un inferno di sangue e urla.
Chiameranno il 113 e diranno:

«Avete saputo cosa è successo a Via Tassoni? Quello lo abbiamo ucciso noi.»

Ma non sanno di aver fallito clamorosamente.

Sono venuti per colpa di Marino. Ma Marino non è lì, arriverà tra qualche ora.
A Via Tassoni, in quel momento, c’è parcheggiato Matteo Toffanin, che deve partire per Varese.

Matteo Toffanin non ha ancora salutato la sua fidanzata. Mentre i proiettili lo investono, lei è ancora dentro l’abitacolo, assiste alla scena. Rimane colpita alle ginocchia.
Si chiama Cristina ed è una mia amica.
Era il 3 maggio 1992.

 

Pubblicato in origine sul sito dell’autore

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